venerdì 27 giugno 2014

Veg&Roll

Dopo giorni e giorni di lontananza dalla mia cara Ghiacciaia, eccomi di nuovo qui!
Per mancanza di tempo e anche un po' di voglia, mi sono presa qualche giorno di fermo lavori, ma non preoccupatevi, di cucinare non ho mai smesso.
Oggi sono qui per porporvi di fare un salto con me in Giappolandia, parleremo di SUSHI (vegetariano).
NO PESCE CLUDO PEL OGGI! ;)

Durante il mesolitico e neolitico della cultura Jomon (10000 - 300 a.C), in Giappone si attestano forme di vita più stabili che si dedicano alla creazione di prime forme ceramiche decorate con la tecnica dell'impressione di bastoncini di legno sull'argilla ancora fresca. L'utilizzo della ceramica è sinonimo di vita sedentaria, poichè il vasellame molto fragile sarebbe stato inutile per una società di cacciatori nomadi.
Nel V secolo a.C. il piatto principale dei giapponesi era il pesce lasciato macerare per tre anni in grandi contenitori di ceramica insieme a del riso, che al contrario del pesce, dopo il periodo di conservazione non veniva consumato. Per ovviare a questo grande spreco, si pensò bene di ridurre di molto i tempi di stoccaggio, passando direttamente ad un solo mese di macerazione, in modo da poter consumare anche il riso e soddisfare la popolazione che in quel momento stava crescendo in maniera esponenziale.
Riso, pesce, noodles, legumi, verdure sono alla base della cultura gastronomica nipponica, che si è sempre distinta per la particolare cura dei maestri durante la preparazione degli ingredienti e la composizione dei piatti. Il taglio e lo sminuzzamento dei cibi hanno un ruolo fondamentale, perchè tutte le pietanze devono essere afferrate comodamente con le bacchette.
 
Per merito di alcuni monaci di ritorno dalla "Terra di mezzo", l'attuale Repubblica Popolare Cinese, il Sushi è arrivato in Giappone, ma solo nel 1820 con Hanaya Yohei viene servito per la prima volta  su un bancone un nigirizushi, una polpettina aromatizzata all'aceto di riso con sopra una fettina di pesce crudo. Da allora il sushi è diventato l'emblema del cibo di strada e spie per l'individuazione della polpetta migliore erano i lunghi teli posizionati sui carrettini dei venditori, utilizzati come tovaglioli dai clienti. Più il telo era sporco, più il sushi era prelibato.
 

 

Etimologicamente sushi sta per "acido" e si riferisce principalmente ad una categoria di cibi preparati col riso in associazione a pesce crudo, verdure, uova, alghe. Il ripieno può essere crudo o cotto, appoggiato su una polpettina di riso o inglobato in un rotolino sigillato da un'alga.
La varietà del piatto è data dall'infinità di condimenti, ripieni e guarnizioni e dalla varietà con cui essi vengono impiegati. La tipologia di sushi con maggior diffusione è quella dei Machizushi: una polpettina cilindrica o conica di riso, formata con l'aiuto di una stuoia di bambù, makisu, generalmente avvolta nell'alga Nori (di cui un giorno parleremo).
 
Io mi sono limitata a replicare due tipi di Machizushi, i più semplici del resto: Futomaki (rotoli larghi) e Hosomaki (rotoli stretti), avvolti dall'alga nori esternamente e che racchiudono al loro interno il riso e due o tre ingredienti molto colorati che contrastano con il nero del nori ed il bianco del riso.
 
Passiamo adesso alla preparazione: lunga, non estremamente difficile,  ma certosina sicuramente!
 
Io di solito riesco a trovare i fogli di alga nei negozi che vendono prodotti sfusi, o nei negozi etnici. Per quanto riguarda il riso, se non riuscite a trovare quello specifico per sushi, vi consiglio di utilizzare il riso vialone nano. I chicchi devono essere piccoli e rotondi.

VEG & ROLL

Ingredienti:
3 fogli di alga Nori
200 gr di riso
1 avocado maturo
1cetriolo
2 carote
1 mazzetto di asparagi
1 mazzetto di rucola
1 confezione di formaggio fresco spalmabile
Aceto di riso o mele
Salsa di soia
Salsa wasabi o senape piccante
1 pizzico di zucchero
Sale


Versate in un pentolino il riso e ricoprite con acqua, non troppa, bastano 2 cm oltre il livello del cereale, un pizzico di sale e mettetelo a bollire coperto su fiamma alta. Appena inizia il bollore abbassate la fiamma, bassissima mi raccomando, e lasciate cuocere sempre coperto e senza toccarlo. A fine cottura l'acqua sarà stata completamente assorbita dal riso; a questo punto potete versarci sopra, utilizzando una paletta di legno come tramite, qualche goccia di aceto di riso, va benissimo anche quello di mele, serve solo a dare maggiore compattezza.
Trasferite il riso su un piatto largo, l'ideale sarebbe di legno (se non l'avete fa nulla) e lasciatelo raffreddare bene.
Nel frattempo sbollentate leggermente le carote tagliate a listarelle nel senso della lunghezza e gli asparagi.
Tagliate sempre a listarelle il cetriolo e l'avocado. Lavate la rucola.
Disponetevi ordinatamente sul piano di lavoro i fogli di alga, il piatto con il riso, tutte le verdure e il formaggio spalmabile. Munitevi di un coltello ben affilato e una ciotola d'acqua con qualche goccia d'aceto; il riso è molto appiccicoso e tenderà a restarvi attaccato alle mani, ma se prima di iniziare a disporlo sui fogli d'alga bagnerete le mani nella soluzione di acqua e aceto, non avrete nessun problema.
Prendete un foglio d'alga e create uno strato di riso per oltre la metà della larghezza del foglio. Lo strato deve essere poco più spesso di mezzo centrimentro e deve essere molto compatto. Spalmate un sottile strato di formaggio e adagiateci sopra le verdure che preferite.
Io per i maki più piccoli ho utilizzato solo formaggio e asparagi, per quelli più grandi carota, cetriolo, avocado, rucola e formaggio.
Una volta disposti tutti gli ingredienti, iniziate ad arrotolare facendo leggermente pressione con le mani, ma stando attenti a non far uscire lateralmente tutto il ripieno. Continuate ad arrotolare fino alla fine del foglio e inumidite leggermente quella parte di alga che avrete lasciato senza condimento. Questo serve a chiudere meglio il rotolo.
Adesso potete passare alla realizzazione degli altri maki; io prima di tagliarli li lascio sempre per un pochino in frigo per farli compattare bene.
Prendete un coltello molto affilato, bagnate la lama nella soluzione di acqua e aceto e iniziate a tagliare i vostri cilindri che non devono essere più spessi di 2 cm.
Tenete sempre la lama del coltello bagnata, in modo che scivoli meglio e il taglio sia netto.
A questo punto non vi resta che disporli su piatto da portata e preparare la tavola con bacchette, piattino per la salsa di soia e il wasabi.
Come dicevo prima, se non riuscite a trovare la salsa wasabi, potete tranquillamente sostituirla con la senape piccante. Il wasabi va sciolto in un piattino insieme alla salsa di soia in cui poi puccerete il vostro roll prima di divorarlo.


Impugnate le bacchette e buon appetito!
 

 

sabato 14 giugno 2014

Fantozzi non si nasce, si diventa!

"Palla: sfera di gomma piena o vuota, o di cuoio con camera d'aria, di dimensioni e peso diversi a seconda che venga giocata con il piede, con le mani o con particolari strumenti".
Aggiungo: particolare strumento che da secoli fa rimbecillire gli uomini e sbuffare tante donne.

Mi sembra un ottimo attacco per introdurre l'argomento del giorno che, purtroppo per tanti versi, ci accompagnerà per alcuni giorni: I MONDIALI DI CALCIO.
Per tutte le persone del mio stesso sesso che sono come me poco interessate, propongo subito un ottimo rimedio: birra, la birra ci salverà tutte.
Mentre i vostri uomini saranno presi a urlare e inveire con un arbitro e un palo, voi potete bere birra, tanta birra. Entrerete facilmente nella loro dimensione goliardica, andrete a fare pipì tanto quanto loro e vi ritroverete in men che non si dica a partecipare a sfottò e cori da stadio.
Le uniche cose che non continuerete a capire saranno le regole del maledetto FUORI GIOCO!

Nessuna lezioncina di storia oggi, passiamo direttamente alla ricetta: super semplice, conviviale e da accompagnare con una bella Peroni ghiacciata; un ottimo piatto da preparare per una cena con amici in attesa del debutto in campo della nostra Nazionale.
 
 
Dite la verità,  vi state preparando come il Ragionier Fantozzi prima della partita Italia - Inghilterra, vero?
 
 
 
P.S. Grazie Rob per la citazione.



CHITARRA di FANTOZZI

Ingredienti:
Chitarra a matassa Cav. Cocco
Pomodorini Piccadilly
Aggiughe
Pasta d'acciughe
Porro
Basilico (tanto)
Pinoli
Parmigiano
Sale
Pepe
Olio EVO

Tritate finemente il porro e fatelo appassire dolcemente in una padella con un filo d'olio Evo e dei filetti di acciughe.
Nel frattempo lavate, tagliate a metà i pomodorini e privateli del liquido di vegetazione. Disponeteli su un piano con la parte interna rivolta verso l'alto e cospargeteli di sale fino.
Lavate e asciugate per bene le foglie del basilico, mettetele nel bicchierone del minipimer insieme ai pinoli, aglio, pasta d'acciughe e parmigiano.  Frullate e versate olio a filo.
Mettete a bollire l'acqua per la pasta e quando sarà il momento buttate la chitarrina.
Passate velocemente i pomodorini sotto un getto d'acqua fredda (per togliere il sale in eccesso), scolateli e buttateli nella padella in cui avete lasciato cuocere ben bene i porri.
Fate saltare i pomodorini a fuoco vivace per due minuti, devono restare quasi crudi e sodi, scolate la pasta e saltatela insieme al sughetto, aggiungendo, se necessario, un po' di acqua di cottura e olio.
Pronta la pasta, accomodate sul fondo di ogni piatto un bel cucchiaione di pesto e adagiateci sopra una bella porzione di chitarra ai pomodorini. Una macinata di pepe e un goccino di olio.

Pronti al fischio d'inizio? Siete già sintonizzati? Avete fatto scorta di Peroni?

Buona partita a tutti!




mercoledì 11 giugno 2014

SUMMER TRIP

Incuriosita dall'antico mestiere dei trippai, mi sono imbattuta in alcune incisioni di Bartolomeo Pinelli (Roma, 1781 - 1835), artista che ha raccontato nlle sue incisioni i costumi del popolo romano, italiano e svizzero, mettendo in piedi una vera e propria enciclopedia etnografica dell'epoca.



Il venditore di teste di maiale, detto "tripparolo" - 1831

Riporto quanto leggo:

I "tripparoli", cos' chiamati perchè vendevano i residui e scarti della macellazione quali trippa e teste di maiale, andavano in giro per Roma tenendo sulla testa delle spianate di legno, come quelle usate per portare le pagnotte di pane al forno, sulla quale erano sistemate le teste di maiale, buone per fare la "coppa".
I "tripparoli" si potevano incontrare in modo particolare nelle strade e vicoli al Pantheon, dove c'era uno dei mercati più forniti di Roma e richiamavano i clienti con grida caratteristiche che mettevano allegria alle massaie e attiravano i clienti invogliandoli a comprare.

Nell'ultimo secolo la nostra alimentazione è cambiata radicalmente e a rimetterci è stato soprattutto il "quinto quarto", ovvero l'insieme di tutti gli scarti ricavati dalla macellazione dei bovini e dei suini (testa, interiora, cosa e organi); eppure qualche traccia di questa tradizion esiste ancora e porta con sè secoli di storia culinaria nemica dello spreco e ricca di ricette economiche e saporitissime.

Oggi grandi chef col nome di Carlo Cracco hanno fatto delle frattaglie il proprio baluardo, riportando nelle cucine stellate i tagli più poveri delle carni e reinventando piatti della tradizione culinaria italiana, consegnandoli, come dice Sergio Capaldo (veterinario appassionato e consulente per Slow Food), alla nicchia dell'alta gastronomia e dimenticando, a volte, la nostra storia alimentare. 
La trippa, questo è l'ingrediente prezioso della nostra ricetta, è ricavata da diverse parti dello stomaco del bovino:il rumine, l'omaso, l'abomaso ed il reticolo.
Si consumava cotta sulla brace già nell'antica Grecia e ancora oggi tutte le regioni italiane ne possono vantare una  propria rielaborazione. Forse il nome stesso ci ha sempre spinti a pensare che la trippa sia un alimento grasso, ma i valori nutrizionali per 100 gr dicono esattamente il contrario e, negli ultimi anni, è diventata uno degli ingredienti principali nelle diete ipocaloriche. Non ci credete?

Valori nutrizionali per 100 gr di trippa bollita:
- calorie 94 kcal
- grassi 4,05 gr !!!
- carboidrati 1,99 gr
- proteine 11,71 gr
- acqua 81,65 gr !!!

Sfatato questo mito, è il momento di passare alla ricetta di oggi.

Qualche giorno fa, dopo essere stata a cena in una delle tante osterie romane e dopo aver provato per l'ennesima volta la trippa, mi sono fatta una domanda: si potrà mangiare anche d'estate?
Ebbene si!
Non sono molti a proporla, ma qualcuno s'è cimentato.
Non ho letto sinceramente nessuna ricetta, mi è bastato semplicemente vedere che si può fare ed ho messo in pratica un'idea che mi è frullata in testa.

Questa è la mia insalata di trippa, anzi come mi hanno suggerito Roberto e Fabio (chiamatelo pure Jean Liuk), la mia SUMMER TRIP.

Ingredienti:
500 gr di trippa bovina
sedano
carote
cipolla
rucola
funghi champignon
peperone rosso
limone
patate
aglio
prezzemolo
coriandolo
zenzero
pepe
peperoncino
cumino
aceto
sale
olio EVO

Il mio consiglio è quello di comprare dal macellaio di fiducia almeno 500 gr di trippa già pulita e bollita, vi eviterete lunghe cotture e odori non proprio piacevoli diffusi in tutte le stanze di casa!
Prendete la trippa già pulita e sbollentata, se non è già tagliata a striscioline procedete pure e preparate un fondo con cipolla, carota, sedano e olio. Fate appassire bene le verdure e buttate la trippa. Fate rosolare per qualche istante e versate del brodo (preparato in precedenza)che vada a coprire il tutto. Io di solito uso una pentola a pressione e in 10 minuti il gioco è fatto.
Nel frattempo mettete a bollire delle patate, lavate e asciugate la rucola, fate a dadini il peperone,
le carote, la cipolla, il sedano e i funghi champignon crudi. Versate tutta la dadolata in una ciotola capiente e condite con olio, sale, succo e scorza del limone, le spezie e l'aceto.
Quando le patate sananno cotte, spegnete i fuochi e mettetele a raffreddare. Stesso procedimento per la trippa.
Una volta raffreddate, tagliate le patate a cubetti e aggiungetele alle verdure. Unite la trippa scolata e ben fredda, tritate aglio e prezzemolo e buttateli nell'insalata.
Aggiustare di sale, pepe e per ultimo aggiungete la rucola.

Il risultato è strepitoso, la trippa prende i sapori delle spezie e del limone. Le verdurine fresche rendono il piatto leggero e gradevole, un vero SUMMER TRIP!
 
 

 
 
 

domenica 8 giugno 2014

Alla fine arriva Melon

Quali erano le parole di una canzone dei Timorìa che ascoltavo circa 15 anni fa?
Ah, si: "ci sono giorni in cui mi sveglio spento e tutto sommato provo a starci dentro. Nella mia stanza aspetto il mio momento, sono qui, aspetterò"...
Proprio così, capita troppo spesso ormai che tanti ragazzi come me, svegliandosi al mattino, si sentano più spenti di quando si sono messi a letto, tentando invano di prender sonno.
Siamo una generazione senza tempo, viviamo il presente, guardiamo il passanto dei nostri genitori, miriamo ad un futuro che adesso come adesso non c'è. Quando verrà il nostro momento?

Quali colpe abbiamo?

A dire il vero io penso di non avere troppe colpe, si, sicuramente avrò compiuto degli errori, sarò stata troppo avventata in alcune scelte, ma per il resto?
Mi sembra di aver fatto il mio dovere, ho studiato, mi sono laureata, ho cambiato strada, mi sono svegliata per un anno alle 4:00 del mattino per riportare a casa la pagnotta, ho avuto il coraggio di prendere le mie cose e buttarmi a capofitto in un'altra avventura, continuo a leggere e studiare cose che mi interessano, ma in mano cosa resta? Dentro di me cosa resta? Perchè allora ci sono giorni in cui mi sveglio spenta?

Quante volte ci siamo sentiti dire che ognuno di noi deve trovare la propria strada, che ognuno di noi deve sentirsi libero di fare ciò che vuole? Tante, troppe...
Come si fa a seguire la propria strada se il momento storico non ce lo permette, ci costringe ad accettare situazioni e lavori che probabilmente non vorremmo mai, ci costringe ad accettare sfruttamenti illegali, senza aver diritto di replica?
Tutto questo questo ci sta annientando, ci rende infelici, depressi, insoddisfatti. C'è rabbia in noi, rabbia e inquietudine che vomitiamo su chi ci è vicino, su chi ha scelto di amarci e alla fine restiamo soli, senza essere nemmeno padroni di noi stessi.

"Io aspetterò", ripete più volte il testo della canzone.
Bene, io ho 29 anni, so quali sarebbero le cose che mi potrebbero rendere felice nella vita e sicuramente non è quello che sto facendo adesso. Mi accontenterei di ben poco e la cosa a cui aspirerei maggiormente sarebbe la serenità. Sarebbe liberarmi da questo peso che mi opprime ultimamente, sarebbe non avere più ansie gratuite, sarebbe tornare ad amare,sarebbe non sentirmi più costretta ad accettare e soprattutto non dover più aspettare.
Io non voglio più aspettare.

Non credo di essere nata per stare troppe ore dietro una scrivania o davanti ad un pc, non credo di essere nata per accollarmi pesi e ansie altrui e credo di non essere fatta per seguire schemi imposti, ma credo di essere una persona che almeno una cosa di buono potrebbe arrivare a farla e voglio farla.

Mi accontenterei di un mio piccolo spazio, del sole, della natura, di una pentola e un fornelletto a gas. Mi sentirei libera.

Chi mi aiuta?

Scusate lo sfogo, oggi è proprio uno di quei giorni...
Solo una cosa è riuscita a farmi tornare un po' il sorriso, sapete cosa? Un dolcissimo MELONE.

Stamani di buon'ora sono uscita con Roberto che da lì a poco sarebbe andato a lavorare, l'aria era già bollente. Lo accompagno a fare colazione in un bar, latte ghiacciato e cornetto. Ottimo. Saluto Rob e mi dirigo verso casa, mi fermo a comprare delle cose, un melone mi sorride, è mio.
Torno a casa, lo abbandono in frigo e finisco di leggere l'ultimo libro di Roberta Schira (ne parleremo), dimentico il melone, dimentico il pranzo.

Sola soletta, verso le 15:00 spinta dai morsi della fame penso al melone,  alla rucola, al sale grosso.
Ho voglia di qualcosa di fresco, penso di nuovo al melone.


ALLA FINE ARRIVA MELON!

Ingredienti:
Melone, qualche fetta
Rucola
Petto di pollo
Sale rosso
Pepe
Olio EVO

Lavare e pulire bene la rucola, asciugarla e tagliarla grossolanamente. Pulire, tagliare a cubotti qualche fetta di melone e cuocere su una piastra il petto di pollo.
Quando la carne si sarà raffreddata, tagliarla a striscioline e unirla in un piatto da portata ai restanti ingredienti.
Aggiungere un goccino d'olio EVO, una macinata di pepe e sale rosso.

Semplice e gustosa, chi ha detto che il melone si sposa solo col prosciutto?
I granellini di sale rosso con la dolcezza del melone sono un binomio divino.

Ah... a completare il piatto ho aggiunto una cucchiaiata di sesamo tostato! ;)

Gnam!



giovedì 5 giugno 2014

Un cece da "Mille e una notte"

Buon pomeriggio amici!
 
Ieri sera ho messo a bagno in una bella bacinella dei ceci secchi, con l'idea che oggi mi sarei preparata per contorno un bel piatto di Hummus.
Riflettendoci un attimo ho pensato che tanti probabilmente conoscono già questa preparazione particolare e altri invece no, allora eccomi qui!
 
Partiamo con una piccola introduzione storico-descrittiva di questa pianta erbacea della famiglia delle Fabaceae, i cui semi sono appunto i ceci, legumi ampiamente usati in cucina da secoli, ottima fonte proteica per noi uomini.

Il nome latino è Cicer ed è noto che il cognome di Cicerone fosse stato attribuito alla famiglia del caro "amico" Marco Tullio, da una verruca grande quanto un cece, che un suo zio aveva sul naso.
Il nome scientifico è Arietinum per la somiglianza del seme al profilo della testa di un ariete.
Le specie selvaltiche si sono diffuse inizialmente in Turchia e le prime testimonianze archeologiche risalgono alla prima età del bronzo (3500 - 1200 a.C.) in Iraq. Da allora la diffusione ha interessato tutto il mondo antico: Egitto, Gracia e Impero Romano.
La coltivazione avviene soprattutto in ambienti dal clima semiarido, come l'India e il Pakistan, meno nella nostra nazione a causa della bassa resa e grande richiesta.
Solo nelle zone della Murgia e nelle campagne pugliesi alcune aziende agricole continuano a coltivare due specie autoctone  molto meno diffuse in commercio, quella dell cece nero e de cece rosso. 

Appena aperto il blog, Clara, una delle mie più care amiche, mi ha chiesto di parlare di cosa si scatena fisicamente e psicologicamente in un essere umano quando per la prima volta ha a che fare con piatti  e sapori sconosciuti. E' certamente uno spunto molto interessante e vorrei sinceramente che fosse lei, che ha visitato diverse volte Libia, Egitto e Cipro a raccontarci la sua esperienza. 
Clara ti aspetto.

Quello che farò io oggi sarà solamente introdurvi al mondo HUMMUS!

Ringrazio per questo il mio compagno Roberto e mia suocera che, avendo vissuto per qualche anno in Nigeria e continuato poi a girovagare per il mondo, mi hanno insegnato ricette e piatti dal sapore decisamente afro-orientale.

A quanto pare l'hummus è citato già nella Bibbia, piatto d'amore tra Ruth e Boaz; lei una giovane e bellissima contadina che cercava di sopravvivere coltivando grano e lui, un giovane principe folgorato dalla grazia della ragazza. Sembrerebbe una romantica storia d'amore simile a tutte le altre, una storia di Aladino al contrario, se non fosse che Boaz riesce a conquistare Ruth facendole assaggiare del pane arabo intinto nell'himza (cece in ebraico antico).
L'aggiunta della tahina, invece, pare sia stata introdotto, secondo tradizione islamica, da Saladino, sultano d'Egitto e Siria dal 1174 al 1193.

La salsa Tahina, chiamata anche pasta di sesamo o crema di sesamo si ottiene dal sesamo bianco.
I semini vengono fatti tostare leggermente, schiacciati per bene e mescolati con olio di sesamo.
Ormai è molto facile trovarla nei nostri supermercati, ma io consiglio di farla in casa.  
E' decisamente molto più buona e se non trovate olio di sesamo potete tranquillamente utilizzare quello EVO o di semi. Il procedimento è davvero semplicissimo, fate tostare leggermente (non troppo altrimenti diventano amari) una certa quantità di semi di sesamo bianco, fateli raffreddare e tritateli. La pasta ottenuta potete trasferirla in un contenitore con chiusura ermetica, aggiungere olio a coprire, un pizzico di sale. Potete conservarla in frigo per diversi giorni.
La tahina è ricca di vitamie E e B, magnesio, silicio, fosforo, zinco e ferro. I semi di sesamo inoltre contengono la sesamolina che aiuta ad abbassare il livello di colesterolo nel sangue.
Attenzione però, è una crema molto molto calorica, andateci piano!

Passiamo adesso alla preparazione del nostro piatto, un ottimo contorno da accompagnare a della carne, pesce, riso... io lo mangio anche da solo!

HUMMUS

Ingredienti:
200 gr di ceci
Tahina
Limone
Aglio
Sale
Pepe
Olio EVO
Prezzemolo

La sera prima metto in ammollo i ceci secchi in una bella bacinella con dell'acqua fredda. Al mattino li sciacquo e li metto in una pentola con dell'altra acqua e un pizzichino di sale. Lascio bollire a fuoco lento per ore, fin quando i ceci non diventano morbidelli e si schiacciano facilmente con una forchetta. Una volta scolati, li lascio raffreddare (se volete evitarvi tutti questo sbattimento siete liberissimi di usare ceci precotti!).
Nel frattempo in un mortaio pesto ben bene uno spicchio d'aglio che unirò poi alla crema. Spremo un limone intero, lavo e trito finemente un ciuffetto di prezzemolo.
Quando i ceci sono ormai freddi, li metto nel bicchierone del mio minipimer e inizio a frullarli con un filo d'olio. Cerco di ottenere una cremina finissima, liscia. A questo punto, in un bel piatto di portata unisco qualche cucchiaio di tahina, il succo del limone, l'aglio pestato e amalgamo bene il tutto. Aggiungo la crema di ceci, il prezzemolo, aggiusto di sale e pepe e con un bel cucchiaio di legno rendo omogenea la mia cremina.
Prima di portare in tavola aggiungo dell'olio EVO ed una spolverata di cumino, aiuta a rendere più digeribili i legumi.
Il piatto a questo punto è pronto... buono vero?
 

Seguendo questo stesso identico procedimento potrete preparare diversi tipi di hummus, esempio?
Con le fave secche, zucchine, io c'ho provato anche con le patate!
 
;)





mercoledì 4 giugno 2014

Tutto il cucuzzaro!

Un'idea semplicissima, veloce, bio, vegana e leggera per pranzo o cena?
Vellulata di zucca!

Storia: in Messico sono stati ritrovati dei semi di cocutia o cucuzza risalenti al 7000 - 6000 a.C e le prime testimonianze in Europa si attestano, come per i pomodori, dopo la scoperta del nuovo continente. La zucca ormai è entrata a pieno diritto nella dieta mediterranea, riempiendo letteralemente, dall'antipasto al dolce, interi menù.
 
Proprietà: la polpa è ricca di carotenoidi (ottimi per l'abbronzatura) ed i semi, generalmente essicati al sole e salati, sono indicati per le infiammazioni della pelle, delle vie urinarie e per combattere la Tenia Echinococco (verme solitario).

Veniamo a noi!
La preparazione della vellutata è davvero semplice e vi assicuro che il risultato è fantastico.
Io mi sono ispirata alla ricetta del cazpacho andaluso, una zuppa fredda che i braccianti consumavano  nei campi arsi dal sole per trovare ristoro.
Ovviamente la zucca, a differenza dei pomodori,deve essere cotta, ma lasciandola intiepidire un po', potrete ottenere ugualmente un piatto sfizioso e rinfrescante. 


VELLUTATA DI ZUCCA ESTIVA

Ingredienti:
Zucca (quanta ne volete)
1 cipollotto
Olio q.b
Sale q.b.
Pepe q.b.
Peperoncino q.b.
rametto di timo

In una pentola a pressione ho fatto andare per due minuti un fondo con un goccino d'olio, acqua e cipollotto tagliato grossolanamente; ho preso i miei cubotti di zucca che in inverno avevo accuratamente pulito, sbollentato e riposto in freezer, li ho buttati in pentola, ho aggiunto pochissima acqua, sale e sigillato con il coperchio.
A quindici minuti dal'inizio del fischio ho spento il fuoco, aspettato che fuoriuscisse tutto il vapore e controllato il livello di cottura della zucca. Ho frullato il tutto con il minipimer, aggiunto un filo di olio EVO, pepe, peperoncino, timo ed ho fatto raffreddare leggermente.
Ecco il risultato. ;)



La vellutata è davvero fantastica e se poi aggiungiamo il fatto che è super leggera, senza grassi e fa benissimo alla nostra abbronzatura, direi che potremmo quasi eleggerla piatto di preparazione all'estate 2014!






martedì 3 giugno 2014

Il Fungo Madre

Chi di voi non ha mai sentito parlare di Candida albicans, Malassenzia , Lactobacillus e Saccharomyces cereviciae? Forse dell'ultimo in particolare non proprio, eppure vi assicuro che l'avrete pronunciato, letto, scritto e sentito miliardi di volte.
Cos' hanno in comune tra di loro? Le parole fungo e lievito vi dicono qualcosa?
Esatto, sono tutti dei LIEVITI, gruppi di funghi formati da un solo tipo di cellula, quella eucariota (cellula con membrana che divide il nucleo dal citolplasma... fa sempre bene ripassare le basi della biologia!), di cui attualmente sono stati catalogati più di mille ceppi diversi.
Il Saccharomyces altro non è che un tipo di lievito che l'uomo ha "addomesticato" da migliaia di anni per la produzione di pane e birra.
La scoperta della lievitazione naturale risale all'Antico Egitto quando, secondo leggenda, un'esondazione del Nilo bagnò una certa quantità di farina conservata in sacchi lungo le rive del fiume che, lasciata lì per giorni ad una temperatura ideale, iniziò a gonfiarsi. Per non subire gravi perdite di farina gli egiziani mescolarono questo "impasto" a dell'altra farina fresca, innescando così quel processo di fermentazione che dopo secoli è ancora uno dei caposaldi della cucina mondiale.
Da quel momento la lavorazione del pane non ha mai subito grandi cambiamenti, solo la rivoluzione industriale, la scoperta del lievito compresso, dei forni a gas e nuove macine hanno accelerato il processo di produzione, rendendo però molto più scadente il risultato.

Avrete capito benissimo, o almeno spero, che il lievito naturale ha inizio da un impasto acido spontaneo composto da farina e acqua. Gli agenti patogeni sono i batteri presenti nella farina che a contatto con l'acqua e ad una temperatura ideale fermentano. Dopo diversi giorni e opportune rilavorazioni, rinfreschi, con altra acqua e farina, il lievito diventa pasta madre, il vero lievito naturale, il FUNGO MADRE!
Io da due anni conservo un bel barattolino di pasta madre e devo dire la verità, è tutta un'altra storia! Il pane è più leggero, più digeribile, più saporito... ecco forse l'unico problema è che è così buono che si finisce per mangiarne sempre troppo!

Vi lascio qui sotto il procedimento, non si sa mai che qualche donnina caparbia si voglia cimentare nell'impresa, ardua sicuramente, ma che soddisfazione!

INGREDIENTI:
200 gr di farina 00
90 gr di acqua
1 cucchiaio di olio EVO
1 cucchiaio di miele (è un acceleratore di fermentazione)

Impastare tutti gli ingredienti e riporre l'impasto in un contenitore ben chiuso.
Dimenticare il barattolino per due giorni ad una temperatura di 20°/25°; a questo punto il volume dell'impasto dovrebbe essere raddioppiato.
Procedere con il primo rinfresco: prelevare 100 gr di impasto (il resto potete gettarlo via, tanto quella massa non ha ancora un'adeguata forza lievitante), aggiungere 100 gr di farina 00 e 45 gr di acqua.
Impastare bene e riporre di nuovo il composto in un contenitore ben chiuso per altri due giorni.
Trascorso il tempo, rinfrescare nuovamente nello stesso modo della volta precedente e impastare. Questa volta il contenitore, sempre ben chiuso, va riposto in frigo.
Adesso le cose cambiano, non si drovrà rinfrescare dopo due giorni, bensì dopo 5 e questo stesso procedimento va ripetuto per altre 3 volte!!!

Gli intervalli da rispettare sarebbero questi: 2(primo rinfresco) + 2(secondo rinfresco) + 5(in frigo, terzo rinfresco) + 5(in frigo, quarto rinfresco) + 5(in frigo, quinto rinfresco) + 5(in frigo, sesto rinfresco).

A questo punto la vostra pasta madre è pronta, voi?
Voglio vedere chi si cimenterà in questa impresa!! Voglio le prove, voglio vedere pizze, pane e panini uscire fumanti dai vostri forni!
 

Ah, non mi metto a scrivere anche la ricetta del pane ... il web è pieno!!! ;)


 

Bello il mio barattolone, vero?

lunedì 2 giugno 2014

La vera bellezza per Brillat-Savarin... Ecco! ;)


Appretto & Limoncello, un corredo di ricette vintage

Pubblicato per la prima volta nel 2012 con il titolo Limoncello & Lime Water da Murdoch Books, il libro di Tessa Kiros è stato tradotto in italiano da Nathalie Anne Dodd e vede nel ruolo di Direttore Editoriale, la carissima Csaba della Zorza. Nel 2013 il libro è pronto per il mercato italiano e con il titolo di Appretto & Limoncello, un corredo di ricette vintage, viene pubblicato dalla Luxury Books.
Tessa Kiros, nata a Londra e con sangue per metà irlandese e per metà greco-cipriota, vive a lungo nel sud del continente africano. Viaggia molto, cerca di conoscere il più possibile nuove culture, modi di vivere e di preparazione del cibo. Diventa uno chef, lavora in prestigiosi ristorianti in tutto il mondo, trova l'amore e decide di stabilizzarsi, creare il suo nido, la sua casa, la sua famiglia. Da allora vive in Italia, in Toscana, come biasimarla del resto!
Con la Luxury Books ha pubblicato anche altri lavori:
- Falling Cloudberries
- Ricordi in cucina

Ho ricevuto il libro da Rosanna, la madre del mio compagno, come regalo di Natale e da allora non ancora riesco a smettere di sfogliarlo, tutto merito della bellezza delle immagini.
Appretto & Limoncello è un "corredo", una scatola piena di ottimi consigli per la buona gestione della casa, una raccolta di ricette che sono state donate a Tessa dalla suocera.
Proprio a Wilma è dedicato l'intero lavoro, così come a: "tante altre grandi donne dallo spirito libero" che l'autrice ha incontrato durante il suo decennale peregrinare.
Per Tessa questo libro contiene ricette semplici e pratiche e: "coprono un'infinità di possibili utilizzi e hanno le loro radici in un gruppo di donne che NUTRONO, AMANO e PROTEGGONO".
Parole, ricette, immagini d'epoca che conferiscono un tocco vintage, consigli e ricordi che descrivono un'Italia dalla cultura senza tempo, una cultura che si è ampliata, fusa ad altre, una cultura che, per fortuna, è ancora nostra.
Gli otto capitoli si susseguono l'uno dietro l'altro e lasciano tanto spazio ai sogni e all'immaginazione. Si parte dall'Armadio della biancheria, in  cui Wilma insegna a tenere in ordine le lenzuola, La Dispensa, pieno di particolari preparazioni: giardiniera, sali profumati, composta di radicchio rosso e gli zuccheri profumati.
Si prosegue con Il forno del pane e le rustiche ricette di pani, pizze e torte; il quarto capitolo, Il Cestino, con seppie alla griglia con zucchine, fiori di acacia fritti e crostoni con acciughe.
L'orticello? Il quinto capitolo: zuppa di carciofi alla menta, zucchine in fiore e cardi salati al parmigiano.
Vento d'estate tutti a La spiaggia, ecco i fagottini di patate al tartufo, penne con calamari, zucchine e fiori e spaghetti alle vongole; i piatti si fanno un po' più impegnativi nel settimo, ottavo e nono capitolo, ma solo per la difficoltà digestive che si potrebbero incontrare dopo aver mangiato un pollo coi peperoni, galletti alla griglia o il bollito, la pancetta di Marisa o pesce in bottiglia.
Carenze di glucosio? Nessun problema, ci pensa La Zuccheriera: biscotti alla lavanda, torta di mele leontine, brutti ma buoni e dulcis in fundo, l'ultimo capitolo, quello che ha dato il nome a questo mio piccolo spazio, La Ghiacciaia ed i suoi baci di Siena, gelato al caffè e cassia,  gelato al fiordilatte...
Ok, la smetto! Credo di aver svelato sin troppo...
Insomma, Appretto & Limoncello di Tessa Kiros è un libro che merita un posto nella vostra libreria culinaria, vi piacerà, lo amerete e quando lo avrete tra le mani non potrete fare a meno di sfogliarlo e risfogliarlo, per rivivere quel romanticismo in cui le nostre nonne, le nostre madri sono diventate grandi, sono diventate donne.



 
 
Prometto che realizzerò per voi una ricetta dii Tessa!!

La Ghiacciaia

Ghiacciaia, la prima parola che mi è capitata sotto gli occhi dopo aver aperto una pagina a caso del libro Appretto e Limoncello  (T. Kiros, Appretto e Limoncello, Luxury Books, Milano 2013). Parlandone con Roberto e chiedendogli anche spunto per un nome accattivante, abbiamo capito che questo era proprio il nome adatto, perchè? Perchè la ghiacciaia è l'antenata del principale artifizio di conservazione presente in tutte le case del mondo, il frigorifero.

Ma prima del frigorifero, come si conservavano i cibi?
Essiccazione, salatura, conservazione in anfore, tutti metodi per avere sempre a disposizione prodotti stagionali ed esotici. Nella Roma imperiale si gustavano già gelati, granite e sorbetti.. com'è possibile? Semplice,  i romani sfruttavano i ghiacciai perenni presenti su tutta la nostra penisola, isole comprese, l'unico problema era fare arrivare il ghiaccio in città durante la bella stagione.
Nascono quindi le ghiacchiaienevere.

Inizialmente erano dei semplici locali interrati, in cui il terreno stesso faceva da isolante termico per il mantenimento del ghiaccio; nel Medioevo si perse un po' questo uso e solo nel XVI secolo si passò a forme più complesse di ghiacciaie realizzate in mattoni. Anche queste strutture avevano una camera interrata in cui conservare il ghiaccio e una fuori terra, con apertura ad arco o conica che serviva per trasportare il ghiaccio o la neve all'interno della camera frigorifera.
Di solito le ghiacciaie erano costruite accanto a corsi d'acqua e tramite un sistema di piccole dighe, si cercava di creare un laghetto che nei mesi più freddi diventava una vera e propria cava diretta di ghiaccio.
In mancanza di corsi d'acqua si conservava direttamente la neve che diventava inevitabilmente, dopo essere stata compattata e battuta, ghiaccio.
In estate i blocchi posti su carri, all'interno di cassette rivestite di sughero  raggiungevano altre ghiacciaie, da cui poi i blocchi venivano smistati verso i centri di distribuzione e consegnati ai clienti. Ogni blocco di ghiaccio pesava almeno 160 kg, di certo il trasporto non doveva essere così semplice!!

Ecco spiegato il motivo della scelta di questo nome, per l'importanza che il ghiaccio ha avuto nella storia, per gli uomini  che avendo a disposizione più cibo, hanno incrementato i commerci, i contatti, condividendo con altri uomini un fondamento culturale, il cibo.


Su di me - Intorno a me

Mi chiamo Francesca, ho 29 anni, sono abruzzese (www.comunelamadeipeligni.it) e vivo, per il momento, a Roma.

Caratteristiche: riccia, curiosa, amante, testarda.

Interessi: cibo, archeologia, natura, libri, musica, film...

Amori: uno, Roberto. (www.robertozazzara.com)

Con una laurea in archeologia e un'ossessione per tutto quello che è cultura del cibo, storia dell'enogastronomia italiana, antropologia, archeologia culinaria, natura, vita contadina e lunghe passeggiate, solo adesso mi rendo conto della possibilità che ho di poter condividere i miei deliri!
Mi sento viva quando sono in cucina, anche per preparare una semplice fetta di pane e pomodoro, mi piace l'idea della condivisione del cibo e mi piace pensare al ruolo che da secoli ha la donna in cucina, quello della nutrice, colei che si prende cura delle persone che ama.
Ecco perchè sono qui, per regalare il mio tempo alle persone che mi sono vicine e prendermene cura.